Quello Ue-Usa è il «migliore accordo possibile», perché il mondo pre-Trump «non esiste più». Con i dazi almeno al 30% minacciati dal presidente americano ancora domenica, ha ricordato il negoziatore Ue Maros Sefcovic, il commercio transatlantico si sarebbe azzerato, «mettendo a rischio quasi cinque milioni di posti di lavoro». Di nuovo a Bruxelles dopo la missione-lampo in Scozia, i funzionari Ue sono tornati al lavoro, a contatto con gli omologhi statunitensi, per definire gli aspetti tecnici dell’accordo. La stretta di mano fra Trump e von der Leyen non è un atto vincolante, ma l’inizio di un processo comune, spiegano.
Entro venerdì, Ue e Usa dovrebbero mettere nero su bianco una dichiarazione congiunta: per allora, in Commissione si attendono che Trump firmi un ordine esecutivo con l’imposizione del dazio generalizzato al 15% sul 70% delle importazioni dall’Ue. Ci si aspetta che, per le casse Usa, questo generi introiti di quasi 80 miliardi di euro all’anno, dieci volte i 7-8 riscossi finora. Perché l’Ue formalizzi le proprie modifiche ci vorrà più tempo. Intanto, lunedì la Commissione riporrà nel cassetto (ma sono sempre riattivabili) i possibili controdazi che, in caso di “no deal”, sarebbero entrati in vigore il 7 agosto su 93 miliardi di euro di scambi.
LE CONCESSIONI
Oltre al 15% “flat” mandato giù dagli europei, per convincere Trump sono state fatte significative concessioni politiche e commerciali. Le prime riguardano l’acquisto di 750 miliardi di dollari di energia Usa nei prossimi tre anni: gli esperti avvertono che si tratta di oltre il triplo rispetto al valore annuo attuale e potrebbe essere difficile da assorbire, ma per la Commissione è un modo per accelerare il distacco dalle fonti fossili della Russia e sostenere quello che Sefcovic definisce «rinascimento nucleare Ue». Bruxelles non può comprare questi volumi energetici da sé, ma si è impegnata a coordinare Stati e aziende private. Discorso simile per l’altro numero sbandierato da Trump, i 600 miliardi di investimenti aggiuntivi negli Usa. Non sarà l’Ue a farli: «Abbiamo aggregato le intenzioni già espresse dalle nostre imprese», puntualizzano, o dai governi sulle commesse militari. Eccezione di peso: i microchip avanzati per le gigafactory dell’IA, per cui si potranno spendere risorse del budget comune.
LE CONCESSIONI
Le concessioni commerciali, invece, si traducono in una lista della spesa. Anzitutto le auto. Il dazio su quelle “made in USA” passa dall’attuale 10% al 2,5%, per rispecchiare - seppur con una visibile asimmetria - l’abbassamento dell’aliquota che sarà applicata alle macchine Ue, dal 27,5% al 15%. In ambito agricolo, invece, Bruxelles ha offerto di eliminare i mini-dazi attuali su 70 miliardi di euro di importazioni di merci non sensibili provenienti dagli Usa, con l’obiettivo di aumentarne l’afflusso. Si tratta di soia, frutta secca (pistacchi, mandorle e nocciole in particolare), aragoste, pesce crudo, alcuni prodotti lattiero-caseari e alimenti per animali domestici. Ma, spiegano fonti Ue, i paletti a tutela di «carne di manzo, pollame, zucchero ed etanolo» rimarranno invariati. Ci vorranno giorni, se non settimane, invece per capire quale sarà la sorte per vino, champagne e liquori.
DAZI ZERO
Le trattative sulle possibili esenzioni per alcolici e superalcolici, infatti, sono ancora in corso e al momento «non c’è una tempistica precisa», anche se «sembrano esserci progressi più significativi sui distillati». L’obiettivo è che finiscano tra le merci su cui le due sponde dell’Atlantico concordano dazi zero. In questa lista ristretta al momento svettano gli aerei civili (quindi, sostanzialmente, i due giganti di ciascuna parte Boeing e Airbus), ma pure alcuni prodotti chimici e semiconduttori. «L’elenco non è esaustivo» e può essere ancora integrato, ha detto Sefcovic. Tra le eccezioni sfavorevoli rimangono acciaio e alluminio, tassati al 50%: von der Leyen e Trump si sono impegnati a concordare delle quote al di sotto delle quali ridurre il prelievo, riportandolo in alcuni casi vicino allo zero. Soprattutto se prenderà quota un fronte comune anti-Cina, accusata di inondare i mercati europeo e americano con siderurgia a prezzi stracciati. Finora in un limbo, ai medicinali “made in EU” si applicherà l’aliquota del 15%, ma non da subito. Per ora, continuerà a valere il regime zero dazi; non appena l’amministrazione americana concluderà l’indagine ad hoc sul settore, allora scatteranno tariffe del 15% anche sull’import farmaceutico, tranne che per alcuni generici che rimarranno a zero. Fin qui lo scambio di merci. Ma Washington reclama pure ritocchi alle regole europee. Sugli standard per le auto, ad esempio, l’Ue ha accettato di collaborare con gli Usa, dai veicoli connessi alle emissioni nocive. «Abbiamo difeso la nostra autonomia in materia normativa», rivendicano però a Bruxelles: mani libere, insomma, sulle regole digitali presenti e future, tra cui l’ipotesi mai concretizzatasi di una “web tax”.