È arrivato in azienda, ha sfogliato i giornali. Che i dazi americani verso l’Europa fossero stati fissati al 15 per cento era noto da domenica sera. Ma il lunedì, appare tutto più reale. E Filippo Gasparini, amministratore delegato della Gasparini di Mirano (Ve), ha tutta la sensazione di essere rimasto «a bocca asciutta». Guarda al Regno Unito: «Perché gli inglesi hanno strappato il 10 per cento?», si domanda. La sua azienda, campionessa d’export, produce macchine profilatrici e impianti altamente tecnologici per l’industria della lavorazione della lamiera. Il 90 per cento dei ricavi, lo realizza nei mercati internazionali: in testa l’Ue, seguita dagli Stati Uniti (25%). Va da sè, che i dazi al 15% avranno un impatto. E sarà consistente.
Si poteva negoziare di più?
«Sì, ma poteva andare anche molto peggio. In ogni caso, costruendo beni strumentali ad altissima tecnologia, crediamo di poter trattare ancora per ottenere garanzie ulteriori. Se gli americani apprezzano così tanto le tecnologie italiane ed europee, vuol dire che ne hanno bisogno. Come farebbero in alternativa?».
Quale impatto avranno questi dazi sulla vostra attività?
«Elevato. Perché si sommano ad una situazione già preoccupante. Il cambio è diventato ancora più sfavorevole per noi europei. Avremo quindi un doppio svantaggio. Ma in termini di fatturato, non vogliamo assolutamente perdere posizioni».
Concretamente, come vi muoverete?
«Scaricheremo i costi sul cliente, fin dove possibile. Del resto è una guerra che non ha un indirizzo chiaro».
A livello strategico?
«Premetto che le aziende italiane che fabbricano beni strumentali non possono delocalizzare negli Stati Uniti, sarebbe del tutto impraticabile. Perché l’Italia è fortissima nella rete di subfornitura, e abbiamo personale molto affidabile e fidelizzato. Oltre al fatto che i costi di costruzione sono inferiori in Italia rispetto agli Usa. Cercheremo, pertanto, di migliorare l’aspetto organizzativo e lo sviluppo di nuovi prodotti per far diventare ancora più competitivo il nostro know how».
Come si fa?
«Servono aiuti dallo Stato: una fortissima defiscalizzazione per l’inserimento di ingegneri e laureati, poi serve mettere a terra il piano 5.0 che non è mai decollato».
A livello di mercati?
«Quella russa era una buona piazza, ma non c’è più. La Cina oggi è autosufficiente. Rimangono l’Europa, l’Africa, che è lunga ad attrezzarsi, ma arriverà. Poi l’India e i Paesi del Mercosur».
L’accordo è dibattuto...
«Soprattutto in queste condizioni, quei Paesi non si possono assolutamente escludere. Bisogna negoziare dappertutto, a livello globale».