
«L'uomo è nato per esplorare. Se non può esplorare, crea. Se non può creare, sprofonda nella noia. Per non sentirla più, si ubriaca. Cerca qualcosa che ti tenga lontano dalla noia per tutta la vita!». Questo sosteneva il saggio nonno di un giovane collega inglese, entusiasta di aver scelto Medicina e di fare il ricercatore: «Così esploro sempre, mi entusiasmo a cercare e non mi annoio mai».
«Se mi guardo intorno, mi rendo conto che mio nonno aveva visto lungo». Una raccomandazione oggi ancora più pertinente di ieri, vista la pandemia di noia che colpisce bambini, adolescenti e adulti nei Paesi ad alto reddito, quando non siano in situazioni di emergenza o sotto le bombe. Che cos'è la noia, che asfissia la vita personale, in coppia e in famiglia, nello studio e nel lavoro?
La noia
La radice della parola ci dà una visione stimolante. Deriva dal latino "in odio", come il francese "ennui". Indica sentimenti fortemente negativi verso la situazione in cui si vive. Qualcosa di più profondo dell'inquietudine frustrata, dell'insoddisfazione ruminante, del distacco ostile dalla realtà, dell'indifferenza, a cui nel linguaggio comune la si associa. Transitoria, la noia può essere uno stimolo a rilanciare la voglia di essere protagonisti attivi e appassionati della propria vita ("noia reattiva"). Duratura, diventa una palude mortifera, dove affondano i talenti inespressi, i sogni irrealizzati, i progetti abortiti, dove la vita quotidiana perde di significato e di speranza. Può diventare "noia agitata", se l'irrequietezza porta a ricercare stimoli e droghe per eccitarsi, illudendosi di essere più vivi. O "noia apatica", se la vita affonda in un torpore rassegnato, intriso di disincanto. Cresce veloce, la noia, se non si è allenati fin da piccoli a esplorare la vita reale e i propri talenti nel gioco e nello sport, nella lettura e nel canto, nella musica o nella recitazione.
A quattro anni, alla scuola materna del piccolo paese del profondo Veneto dove ero nata, ho avuto la fortuna di avere come maestra suor Cristina. Alta, tenera e accogliente, il volto illuminato dal sorriso, felice della sua scelta e di seguire i piccolissimi, aveva una vera passione per il teatro. Ricordo a memoria le recite cantate che mi aveva insegnato con rara cura («Io son la bambola bella, venuta da Parigi») e la sensazione esaltante, così piccolina, di essere sola sul palco e avere davanti la sala gremita di genitori e famiglie, per la recita annuale. Ricordo il silenzio attento e le risate alle battute previste dal copione. Gli applausi generosi ed entusiasti, e quel senso di felicità assoluta che un bambino prova quando sente di aver fatto bene qualcosa di un po' difficile. Ricordo il sorriso felice e orgoglioso di lei, dietro le quinte, poi dei miei genitori. Ma è stata lei il primo mentore del mio gusto di parlare in pubblico. La ricordo sempre con gioia e con immensa gratitudine.
In quante scuole materne oggi i bambini hanno la possibilità di entusiasmarsi recitando, cantando, ballando, giocando a esplorare i propri talenti in modo così generoso e variato? La neuroplasticità, massima nell'infanzia e nell'adolescenza, accende di connessioni vivaci ed efficienti le aree cerebrali che sottendono quelle funzioni, con effetti tanto migliori quanto più forte è la gratificazione che il bambino sente nel mettersi alla prova, nel condividere l'apprendimento, soprattutto se l'adulto sa premiare con lo sguardo, il sorriso, la voce, ogni piccolo progresso e incoraggiare costruttivamente quando c'è una difficoltà.
Quanti genitori, oggi, leggono le fiabe ai bambini fin da piccolissimi, quanti li ascoltano poi leggere o ripetere un contenuto a voce alta? Quanti condividono piccoli lavoretti, la cucina o il giardinaggio, o il gioco attivo? Quanti camminano conversando con loro, educandoli a osservare, ad ammirare, ad apprezzare, a cellulari spenti? Invece di trascinarli tenendo il telefonino nell'altra mano, del tutto assorti sullo schermo ed emotivamente lontani dal bambino tenuto come un pacco al seguito, annoiato e irritato. Salvo poi pretendere che sia la scuola a fare i miracoli. Un figlio annoiato ha già migliaia di aree cerebrali chiuse, in demolizione. Nel vuoto insidioso che domina la sua vita reale, il suo bisogno di sentirsi vivo, di sentire eccitazione, vibrazioni, interesse, viene allora captato dalla vita digitale, seduttiva e traditrice. Già dodicenne, o prima, al sorgere dei primi ormoni che accendono le paraboliche del sesso nel cervello, eccolo travolto in esperienze on line pericolose, in avventure rese esplosive da alcol o droghe, con altri incendi a bruciare altre parti del cervello e altre possibilità di buona vita. A coprirsi di tattoo, quanto più si sente nel vuoto. Il punto: la noia è un killer di vita per tutti. Qual è il tasso di noia che ognuno di noi sente nella propria vita? Quali sono i fattori che ci aiutano a tenerlo basso, e quali lo fanno esplodere? Perché è così alta la noia, oggi, anche fra le donne? Chiediamoci, con onestà: «Cosa posso fare, di non velleitario, per dare più senso alla mia vita?»; e cerchiamo di realizzarlo, con costanza e impegno. Chiediamo ai nostri bambini e ai nostro adolescenti: «Che cosa vuoi fare da grande?»; e se la risposta è uno smarrito «Non so», facciamoci un costruttivo esame di coscienza.
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